Non credete, amici! (la Verità sullo Spazio)

•luglio 1, 2014 • Lascia un commento

Amici, non credete agli anni-luce
al tempo e allo spazio curvo o piatto.
La verità è nelle nostre mani
ma è inafferrabile e sguiscia come un’anguilla.
(…)

E.Montale

 

Non c’è molto da commentare a questi versi di Montale, nel senso che si commentano da soli, data la loro estrema lucidità.

Montale invita a non credere a nulla di ciò che ci viene proposto dalle moderne teorie fisiche.

Preso immediatamente, potrebbe sembrare il vaneggiamento di un pazzo, di un miscredente, di un ignorante di cose scientifiche. Ma guardiamo meglio. Le teorie della Fisica moderna sono costruzioni teoriche, complesse e affascinanti finchè si vuole, ma hanno, dal punto di vista del Poeta, un difetto: sono troppo chiare e distinte. Apodittiche. Sfolgoranti di Verità (beh, qui non parliamo della Scienza come si dovrebbe, ma di quella che ci viene propagandata, l’impostora che poi è divenuta imperatrice). Montale è convinto invece che l’uomo è condannato a non conoscere la Verità. Per sua stessa natura, per i limiti cognitivi imposti all’esserci dell’Uomo dalla sua propria natura. La Fisica pretende di conoscere il Vero, questo è il suo errore. A questa imposizione, non dobbiamo credere. Non dobbiamo aver fede. L’aver trasformato ipotesi (scientifiche) di lavoro in verità assolute, indiscutibili finchè non verranno rimpiazzate da altre verità altrettanto indiscutibili perché sorrette dall’”evidenza dei fatti”, questo il peccato fatale della Fisica. Fosse stata più modesta, forse si sarebbe salvata, ma non lo è, non per tutti, non per il vessillo ufficiale che sbandiera.

“Questo solo dirti oggi possiamo: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.” La certezza di Montale è sempre la stessa, egli sa di non sapere (lo diceva già Socrate). Non si può, perciò, credere a chi afferma di sapere! E con tale incrollabile certezza! (se sapessimo, saremmo cosi tanto calati nelle nostre miserie, nella vita che è cosi difficile, tanto al di là dei nostri sforzi possibili?)

Montale riesce, nonostante le prove portate dalle evidenze matematiche e dalle verifiche effettuate sul campo, a non “credere”. A restar ateo dalla Fisica-religione. Ci vuol coraggio a non credere ad una propaganda cosi ben congegnata. Ma la non-credenza non è immotivata; le ragioni per poterlo fare non mancano.

Parmenide e la sfera

•novembre 29, 2012 • Lascia un commento

sfera 1

Mi ha entusiasmato, non so perché  così tanto, l’opera (cura e commento) di Giovanni Cerri su Parmenide (Poema sulla natura, Περί ΦύσεωςPerí Physeos), riedita in una collana di classici del pensiero allegata anni fa in edicola ad un giornale (Fabbri Ed., ed. originale BUR 1999) …  ne voglio riprendere qui un concetto, uno solo, a mio avviso importantissimo (per chi si interessa alla storia del pensiero, ovviamente).

Avviso che questo post è poco più di un copia-e-incolla, ma si sa, repetita iuvant

Dalla critica classica (storia) del pensiero filosofico si sa che Parmenide avrebbe paragonato l’Essere ad una sfera, probabilmente di raggio infinito (?).

Ecco, l’autore del libro precisa (modificandola sostanzialmente) l’interpretazione ad uso del pubblico, citando il passo preciso del frammento (giustamente definito “quasi l’apice teorico del poema”, pag. 66 del libretto in mio possesso) dove Parmenide ne parla:

Dunque se c’è un limite estremo, è circoscritto
da tutte le parti, simile a curva di sfera perfetta,
ovunque d’identico peso dal centro: perch’è necessario
ch’esso non sia maggiore o minore in questo o quel punto.

Qui si pone il dilemma: quel “curva” è una ridondanza stilistica (una necessità poetica) oppure un termine fondamentale del pensiero parmenideo? Perché  in quest’ultimo caso, si apre uno scenario davvero stupefacente sulla sagacia e lungimiranza del pensatore greco-italico (di Elea ovvero l’attuale Velia, nel Cilento ).

Velia, teatro greco

Velia, teatro greco

In quest’ultimo caso, infatti, Parmenide avrebbe cosi ragionato: l’Essere è come una sfera (analogo): ma non ad una sfera, bensì alla superficie (la curva) di una sfera; e com’è la superficie di una sfera? ce lo insegnano le analogie della divulgazione della fisica contemporanea, ce lo ripete nel testo Stephen Hawking: è finita ma illimitata.

Dunque Parmenide non stava dicendo ingenuamente che l’Essere è tondo (sferico) come una palla da biliardo, ma ne stava descrivendo i due attributi fondamentali attraverso un’analogia: la finitudine e l’illimitatezza. Ciò corrisponderebbe mutatis mutandis al concetto di universo chiuso e illimitato della fisica attuale. E Parmenide ci era arrivato col solo logos (ragionamento).

Paragonare l’Essere ad una sfera (tout court) sarebbe stata concezione troppo ingenua da parte di un pensatore raffinato (rispetto ai filosofi ancora cosi legati al mondo della fisica) e lungimirante come Parmenide.  Infatti è immediatamente evidente (ed è una delle obiezioni che classicamente si fanno all’interpretazione ingenua del suo pensiero) che la superficie di una sfera, all’esterno, ha uno spazio, un vuoto, che coinciderebbe immediatamente col non-essere: e questo, per Parmenide, sarebbe impossibile da sostenere, infatti il non essere non-è, non si dà. E allora come risolvere l’apparente paradosso?

Semplicemente, comprendendo in maniera meno ingenua il pensiero di Parmenide: Parmenide diceva: se volessimo fare un’analogia con una figura geometrica dell’Essere, allora vi direi che l’Essere è paragonabile alla superficie di una sfera, ovvero è finito (=perfetto, per i Greci) ma nello stesso tempo illimitato.

Del resto, ovviare al problema affermando che la sfera dovrebbe essere di raggio infinito, introdurrebbe un altro problema: i Greci antichi non avevano molta familiarità col concetto di infinito. Il finito esprimeva perfezione, l’infinito incompiutezza (non a caso la sequenza infinita di decimali necessaria per esprimere alcuni numeri, scoperta in ambito pitagorico, fu appresa con scandalo). Dunque difficilmente Parmenide avrebbe potuto introdurre il concetto di “infinito” per spiegare l’Essere.

Il concetto di illimitato è (pur non essendone del tutto slegato) molto diverso dal concetto di infinito: significa semplicemente a-limitato, privo di limiti, confini.  Privo di limiti non implica che sia infinito, mentre infinito dovrebbe in generale implicare che sia privo di limiti, dunque logicamente sono due concetti distinti.

Del resto, non è incredibile che Parmenide, ragionando sulle coste che oggi vengono promosse Bandiera Blu, sia arrivato con tanti secoli di anticipo ad una conclusione che ha impiegato tanti secoli e tanta matematica e geniali intuizioni (Einstein, ad esempio) per giungere a maturazione: non sono forse la logica e  la matematica figlie dello stesso intelletto? la logica non è forse il grund della matematica? certo, risponderebbero immediatamente indignati i fisici, ma sarebbe impossibile giungere a tali conclusioni senza l’impiego di un apparato matematico imponente che si è potuto sviluppare solo nel corso dei secoli….

Certo, però è anche vero che Parmenide ci era arrivato lo stesso. Dunque l’obiezione che qualunque fisico farebbe è stata invalidata dai fatti, scritti in un frammento in forma poetica… Non dimentichiamo che anche l’atomo fu teorizzato senza il microscopio e senza le teorie moderne: se i greci poterono tanto rispetto al microcosmo, perché non rispetto alla cosmologia?

Il fatto è che oggi ci affidiamo tanto alla fisica e alla matematica perché abbiamo perso l’uso di ragionare secondo logica, abbiamo affidato la struttura fondamentale del nostro pensare ad una materia istituzionalmente definita e in gran parte al lavoro cooperativo (ed esteriorizzato). Come dire, sappiamo usare Word e la tastiera, ma non più scrivere a mano ed esser persuasi del nostro ragionare.

 

per approfondimenti:

http://it.wikipedia.org/wiki/Elea-Velia

http://it.wikipedia.org/wiki/Parmenide

http://it.wikipedia.org/wiki/Sulla_natura_(Parmenide)

http://it.wikiquote.org/wiki/Parmenide#Poema_sulla_natura

Commento a “Forse un mattino andando in un’aria di vetro” di E.Montale.

•Maggio 14, 2014 • Lascia un commento

[L’apparire del consueto]
Le parole chiave: inganno – consueto – miracolo designano rispettivamente: consueto: il quotidiano, ciò che appare; miracolo: ciò che è, al di là delle apparenze del quotidiano (dunque, ciò che è “alle spalle”, che metaforicamente significa non altro che la Sostanza. Ciò che è alle spalle designa sempre ciò che è fondamentale, nascosto, ciò che non appare e tuttavia determina); inganno: significa la differenza tra ciò che è e ciò che appare, l’aspetto negativo della percezione che sembra mostrarci il Reale, ci mostra invece soltanto il “mondo consueto”.
Il vero miracolo è ciò che è al di là delle apparenze: l’esistenza delle cose nuda e cruda, ciò che non può essere percepito, e non potendo essere percepito non può neanche essere detto, trasmesso agli altri.
Il senso del segreto è anche in questo: non solo nella consapevolezza che gli altri non crederebbero e non capirebbero, ma anche nella difficoltà oggettiva di comunicare qualcosa che, in mancanza di riferimenti a qualsivoglia determinazione sensibile, è oggettivamente difficile o impossibile da comunicare.

[Andando…tra gli uomini che non si voltano…]
Chi, invece, si è (ri)voltato?
Sono possibili almeno due letture dell’esperienza di Montale, una in chiave etica ed una in chiave gnoseologica.
Euridice si volta per (ri)conoscere Orfeo e, voltandosi, perde definitivamente la via del camminare che stava perseguendo per uscire dagli Inferi. Eva si (ri)volta addentando il frutto dell’albero della conoscenza, perdendo cosi la (ri)conoscenza divina.
Per Euridice l’errore è irreversibile; per Montale, per fortuna, reversibile, ma a patto di non voltarsi di nuovo, non troppo spesso, a patto di tacere e fingere anche con se stessi.
Il racconto e il mito, in realtà, sono paralleli e concordi: indietro v’è la perdizione, in avanti la salvezza. Ma in entrambi i casi, indietro, alle spalle, v’è la Verità. Orfeo è, in quanto amante, la Verità di Euridice, mentre la Verità di Montale, che nella poesia procede nella solitudine del proprio indagare (pur tra gli altri uomini) coincide con un Nulla: ma sempre della Verità si tratta. Euridice non avrà più scampo: vista la Verità una volta, sarà perduta per sempre; Montale ha un’altra possibilità, quella di non voltarsi mai più, di andar avanti nella menzogna per sopravvivere.
Se si resta nel gregge, che guarda sempre avanti, si resta protetti nel comune, condiviso mondo di false illusioni. Se ci si ribella al comune vedere, si perde la faticosa conquista del Proiettare, Costruire o Mentire, che ha dato luogo al mondo di pienezze nel quale ci sentiamo protetti. A noi la scelta. Ma la Verità, contemplata sia pure per un attimo, per un caso, non è possibile dimenticarla.
E’ sempre la conoscenza del Vero a perderci, la salvezza, invece, consiste nel continuare a credere alle cose fasullle che ci vengono propinate giorno dopo giorno. Ma Montale fa tabula rasa: tutte le nostre percezioni, nonchè le convinzioni, non sono altro che una proiezione del nostro Intelletto e della nostra Ragione sul Nulla che fa loro da fondamento. Si può sopravvivere ad una consapevolezza del genere?
C’è chi ci riesce, e chi no. In ogni caso il prezzo da pagare è alto. Montale paga col silenzio e dunque con la rinuncia a dire il vero. Adamo e Eva pagano con la fine di un’illusione: si scoprono nudi e, avendo scelto una volta, continueranno a dover scegliere per sempre. Cos’era il Paradiso Terrestre se non una illusione, una proiezione, una condizione delle loro menti le quali vedevano come “pieno” ciò che “in realtà” era la mancanza, il vuoto dell’esser-nudi?
Il percepirsi-concepirsi come nudi oppure completi di tutto (pur essendo, “in realtà”, nudi) risiede tutto nella auto-considerazione. Il peccato è nella considerazione che abbiamo di noi stessi. Sentirsi incompleti, Vuoti, è il peccato, sentirsi invece Pieni consiste nel quanto consideriamo corretto, giusto il nostro camminare. Il Pieno che percepiamo quotidianamente attorno a noi non è che, come il Paradiso, uno stato dell’anima, uno stato di grazia, che a fondamento non ha che un “reale” Vuoto. Detta in altri termini, è vano cercare la pienezza delle cose nell’oggettività del Reale, fuori di noi: meglio cercarla in un percorso di auto-fondazione, di fondazione interiore della stessa.

Volendo aderire strettamente ad una lettura in chiave gnoseologica di “Forse un Mattino”, con attenzione rivolta al tema dello Spazio che s’apre vuoto dietro il poeta, affermeremo che la Verità del Mondo che percepiamo è il Vuoto, il Nulla. Il resto è una nostra proiezione. Tolte alle cose Forma Colore Dimensione, che resta? Il loro puro “Essere”. Ma attenzione, che l’Essere non avrà nè Forma nè Colore nè Dimensione. Il mondo dell’Essere non è affatto come ingenuamente a prima vista lo immagineremmo, ovvero pressochè simile se non identico al nostro mondo percepito. In realtà, il mondo dell’Essere è un mondo nel quale l’unico predicato possibile, predicabile sull’ente, è che esso “è”. Tutti gli altri predicati perdono la loro predicabilità (che è poi l’unica proprietà di ogni predicato).  Dunque, abituati cosi come siamo a rappresentarci le cose grazie alla loro forma, o dimensioni, o caratteri quale il colore, il mondo dell’Essere rischia di somigliare terribilmente ad un mondo del Vuoto e del Nulla. Dunque è di questo che ci avverte Montale: noi crediamo di poter arrivare a desiderare la Verità delle cose; ma attenzione, siamo sicuri che, una volta ottenutala, questa non ci terrorizzi, non sia cosi stranamente difforme, aliena dalla realtà di illusioni cui siamo abituati? Meglio forse continuare ad accettare le cose come sono, meglio magari traguardarle da angolature leggermente diverse, ma mai completamente voltati a 180°, barattando il piano (illusorio, personale) del Percepito con quello dell’Essere: rischieremmo di restarne duramente colpiti, feriti, smarriti, terrorizzati. Se vogliamo sopravvivere, non dobbiamo rivoltare le zolle; meglio continuare su quanto, da tempo immemorabile, è seminato.

[Il Vuoto e Heidegger]
Heidegger, nella meravigliosa opera (sia pure non voluminosa come altre) “La questione del fondamento” giunge alle stesse conclusioni di Montale.
Analizzando la questione del fondamento (Grund) sin dagli inizi della filosofia occidentale, giunge a porsi una domanda: ma siamo sicuri che il fondamento sia qualcosa di “pieno”? Ovvero, se una tartaruga ha a fondamento un’altra tartaruga e cosi via, queste non costituiranno un treno infinito di tartarughe, e dove infine l’ultima tartaruga poggerà i suoi piedi? Non è che il vero fondamento delle cose esistenti con pienezza sia infine il Vuoto, l’Abisso, sulla cresta del quale camminiamo e sporgersi sul quale provoca orrore?
Insomma, siamo sicuri che la Sostanza, Una, Spinoziana, sia un Pieno? o forse, invece, un Vuoto del quale tutte le cose esistenti siano una modificazione?
Montale, per un attimo, risponde affermativamente a quest’ultima domanda, dopodichè la tiene come segreto: come sarebbe possibile parlarne ad altri senza essere presi per pazzi, senza provocare il panico e il terrore che sempre ci prende dinanzi al Vuoto?

Earthrise, NASA

Earthrise, NASA

[Alberi, case, colli]
Geniale la scrittura di “alberi case colli”: non separati da una virgola, ma da spazi!
Lo spazio invece della virgola significa la simultaneità della comparsa: le cose non sono separate (da virgole), ma appaiono simultaneamente (o quasi: il tempo di percepirle), d’improvviso. Ma cosa c’è tra cosa e cosa? Solo spazio, vuoto, e null’altro. Se togliamo le parole-cose, cosa resta? Resta la non-parola dello spazio vuoto del foglio, che rappresenta appunto il Nulla alle spalle, il Vuoto dietro “di me”. Il foglio dove la poesia è scritta, vuoto, privato delle parole che lo riempiono, è insomma l’ottima metafora del modo d’esistere delle cose nello Spazio: nel puro nulla, indeterminato, senza punti di riferimento. Le cose si riferiscono invece le une alle altre, la loro presenza (ed estensione) nello Spazio determina per noi la possibilità di orientarci nello Spazio e di stabilire relazioni nello stesso; le cose sono ciò che fanno per noi dello Spazio un Contesto. Togliendo le Cose, è tolto il Contesto, e tutto ciò che resta (il Nulla) provoca il terrore di ubriaco: perché tutti i punti di riferimento (che non sono gli assi di coordinate creati dalla nostra fantasia geometrica, ma proprio ed esclusivamente le cose a noi familiari) son tolti.

[Calvino, Heidegger, Nietzsche, Sacks]
Ha accennato una tesi molto profonda I.Calvino, nel suo commento alla poesia, quando afferma:

“(…) a comprendere il mondo com’è quando la mia percezione non gli attribuisce colore e forma di alberi case colli, brancolerò in una oscurità senza dimensioni né soggetti (…)”

Ciò che coglie Montale per un attimo è la percezione inusitata del mondo al di là della percezione consueta. E’ la risposta alla domanda: se per un attimo potessi percepire il mondo non come lo percepisco di solito, ma come esso veramente è, come lo percepirei? La risposta è: percepirei un semplice Nulla, un terrificante Vuoto.
L’operazione non si può veramente  compiere, è immaginaria: il mondo lo si percepisce come lo si percepisce, o non lo si percepisce affatto (fin che nella testa tutto funziona bene, e qui mi viene in mente O. Sacks). Ma l’esperienza del Nulla alle spalle, ovvero come fondamento delle cose che normalmente percepisco, può essere un’esperienza intellettiva. E in fondo è quel che Montale ha fatto, trasponendo però, in un’improbabile operazione, una consapevolezza intellettiva sul piano, di nuovo, percettivo.
Ciò non toglie che la tesi di Montale è corretta e profonda, ed è in linea con la consapevolezza nuova della questione del fondamento che percorre tutto il ‘900. Montale, insomma, è in asse con (Nietzsche ed)  Heidegger.

per approfondimenti:
http://eugeniomontale.xoom.it/txt_forse.html (riporta I. Calvino, «Forse un mattino andando», in AA.VV. Letture montaliane in occasione dell’80° compleanno del poeta, Genova, Bozzi, 1977, pp. 38-45)

La Verità-Amore come giudizio di valore

•febbraio 19, 2013 • Lascia un commento

Dal Nietsche di Heidegger: per Nietzsche, la Verità è un “giudizio di valore”.

Che significa? non era la verità la famosa “adaequatio rei et intellectus” dei geometri? non era la mente, forse, come un pantografo da adeguare alla forma uguale per tutti delle cose esterne, estese, e nel momento della coincidenza formale dichiarare il raggiungimento della Verità?

Insomma magistralmente Heidegger, partendo dalla Verità=illusione di Nietzsche, ne mette in luce il substrato concettuale, che è presentato in un enorme lavoro di scavo (per i dettagli del quale, si rimanda al testo di Heidegger).

Ci pensavo in auto stamattina andando al lavoro, e mi sono venuti presto in mente i versi di M.Luzi qui sotto riportati:

L’intelligenza tra due
quando tramutata in grazia si guardano
e si scambiano come offerta
con nitore di mandorla mondata
il senso preciso delle cose spiccato alla loro alba

e cantano l’unisono, il concorde
di là dal dialogo, di là dal diverbio….

  • il “senso preciso delle cose” può essere interpretato qui come la Verità;
  • l’ “adaequatio” si trasforma in “concordia”, ma non tra una mente (entità malleabile e proteiforme) e una realtà materiale esterna (rigidamente data), bensì tra due menti (tal che l’ “adequatio” diviene esercizio di conformazione molto più difficile);
  • l’ “intelligenza tramutata in grazia” è l’Amore

Dunque Due, guardandosi negli occhi all’alba del loro Amore (perchè dopo le cose inevitabilmente o quasi sfumano o si tramutano) vedono l’uno negli occhi dell’altro la Verità, la Verità di Due, che non ha bisogno di alcun oggetto esteso esterno per definirsi:  “la Verità siamo Noi”, recita una nota canzone pop.

La Verità di Due che l’intuiscono assolutamente guardandosi negli occhi è il giudizio di valore di Heidegger-Nietzsche: la Verità è che ci amiamo, e questa Verità consiste nel nostro accordo, sintonia, armonia, che s’è instaurata tra noi Due considerati come Menti; non ci sono altri punti d’appoggio o fondamenti esterni sui quali la possiamo reggere, non ci sono altre ratio o motivazioni logiche o ragionevolezze che possano o debbano sostenerla. Nessuna “res” esterna alla quale ci si debba “adeguare”. Il nostro Amore è il giudizio di valore che Noi diamo su noi stessi e l’uno sull’altro. Non c’è altro. Tertium non datur.

 

per approfondimenti:

http://it.wikipedia.org/wiki/Adaequatio_rei_et_intellectus

http://it.wikiquote.org/wiki/Verit%C3%A0

“Nietzsche” di M.Heidegger

“Poesie” di M. Luzi

La Chiesa Cattolica – Gesù di Nazareth: come porre riparo ad un pensiero rivoluzionario

•febbraio 13, 2013 • Lascia un commento

La lotta dell’uomo è sempre stata (parafrasando Heidegger a proposito di Nietzsche)  la lotta per la definizione e il mantenimento di un unico status quo = in statu quo ante (= “nella situazione precedente”); la rivoluzione è quel momento dolorosissimo ma a volte necessario che è servito a rompere gli schemi incancreniti di una precedente situazione (dello status quo); oppure era possibile dar vita ad una rivoluzione tanto profonda quanto incruenta, che partisse dalla rivoluzione della propria interiorità?

E’ quanto ha provato a fare Gesù di Nazareth, e quanto ha impedito, nel suo complesso, la Chiesa.

Qual’è il modo migliore per disinnescare un’ideologia rivoluzionaria?

1) combatterla frontalmente

2) inglobarla nella propria, che può essere cosa tutt’altra o addirittura opposta.

La Santa Madre Chiesa Cattolica Apostolica Romana, per disinnescare il rivoluzionario messaggio di Gesù di Nazareth, ha adottato la seconda via, tant’è che ogni Domenica può presentarsi di fronte a sonnecchianti, inconsapevoli, ignoranti, non-ce-ne-può-fregar-di-meno-che-tanto-dopo-ho-la-partita, bigotti o quant’altro, autosedicenti “adepti” presentando le parole di un Rivoluzionario come se fossero sempre state parole reazionarie. E invece, per ridurle a tali, mediante lavori di interpretazioni picconatrici passati per le addomesticatissime menti di teologi, per Concilii, per espurgazioni, per vulgate, per Biblioteche Vaticane dove conservare ma anche occultare testi “scomodi”, ha finito per diventare tutt’altro, e con successo, nei secoli.

Solo che ora la Chiesa sente il peso di un apparato di bugie, mistificazioni, occultamenti, travisamenti e soprattutto, avendo perso la verve dinamizzante di un organismo sempre rinnovantesi, sente il peso di un apparato ideologico sempre più pesante e difficile da sostenere.

Questa forse non è l’unica, ma può essere uno dei fattori delle dimissioni di Papa Ratzinger, sotto questo aspetto schiacciato dal pesantissimo apparato ideologico che egli stesso ha contribuito a rendere ancora più pesante in tal senso, dopo il richiamo all’anima e la ventata d’ossigeno (ma solo alla ventata) che alla Chiesa era stata data dal suo predecessore Karol Wojtyla.

Il ruolo principale della Chiesa in tutti questi secoli, oltre al diventare  un grande apparato di potere, è stato tappare la bocca a Gesù di Nazareth. L’Anti-cristo, il contra Christum (lo dico in senso ateo) è la Chiesa stessa; (in ordine sparso):

  • Gesù di Nazareth disse: se tu mi chiedi: “Sei tu il Figlio di Dio?” io ti rispondo: “Tu lo dici”, e se ti fa piacere crederlo credilo pure, a me non interessa, perchè a me interessano ben altri Valori,  il problema dell’inquadramento teologico ce l’hai tu, per me siam tutti Figli di Dio (o dell’Uomo, cioè figli!) allo stesso modo, e invece la formulazione bislacca di un Dio-Uomo (ma come fa un Dio, ammesso che si sappia cosa sia un Dio, ad essere contemporaneamente un uomo, o viceversa), e di un Mistero della Fede di Uno e Trino,  che neanche loro si sono mai capiti;
  • Gesù di Nazareth disse: via i mercanti dal Tempio, e invece vendita di indulgenze e mercati (ideologici e morali) di ogni sorta;
  • Gesù di Nazareth disse: il Regno di Dio è tra voi (= qui, ora e adesso, nei vostri cuori, non è certo un’ entità trascendente, non vi aspettate dopo la vita alcun premio di sorta, se non avete capito che siete di premio a voi stessi non avete capito niente), e invece il recupero delle concezioni pagane in chiave di Paradiso, Inferno e Purgatorio, e tutto (la Vera Vita) rimandato a un indefinito Dopo;
  • Gesù di Nazareth disse: vale più l’obolo di questa povera donna che le vostre decime, e invece possedimenti ecclesiastici, poteri temporali, intreccio tra Chiesa e Potere e Soldi ed Eserciti e quant’altro;
  • Gesù di Nazareth disse: pregate nel segreto del vostro cuore chiusi in camera vostra, e invece: Ricordati di santificare le feste, vieni a Messa la Domenica, dà la tua Offerta (economica) alla Chiesa e fa bigottamente “mea culpa” per dimenticarti di tutto subito dopo, tanto l’importante è che tu ci sia stato istituzionalmente (cioè, a vuoto);
  • Gesù di Nazareth disse: una volta morti, il vostro corpo è polvere o cibo per cani, e invece: culto dei corpi assunti in Cielo (credo che ce ne siano 2 vaganti), la Resurrezione dei Corpi, etc., etc.
  • Gesù di Nazareth disse: l’unico comandamento sia l’Amore per il prossimo, e invece Tribunali Ecclesiastici che a suon di fama e milioni annullano matrimoni, regole e regolette, Comandamenti e codicilli, una casistica infinita dove se l’Amore che senti e professi infrange uno dei codicilli: Anatema!

La Santa Madre Chiesa Cattolica Apostolica Romana (lo ha dimostrato bene Papa Ratzinger, il grandissimo Restauratore Fallito, che ha voluto tornare a dir messa in Latino, lingua morta che non c’entra nulla con Gesù di nazareth, anzi era la lingua di coloro che lo hanno sacrificato sulla croce) è stata bravissima nel suo ruolo, custode che ha serbato e nascosto le vere dottrine di Gesù di Nazareth, riuscendo a traguardarle sin qui come una bomba senza più l’innesco.

E’ incredibile, 2000 anni di storia come dormienti, ascoltando cose e facendosi convincere che fossero altre.

Gesù di Nazareth si era ribellato ad un sistema di idee conservatrici, bigotte, istituzionali, quale quello perpetrato dalla Santa Madre Chiesa Cattolica Apostolica Romana per secoli. Ma son stati bravi, ne hanno spento subito la forza rivoluzionaria, soffiandoci su come su una candela, della quale da secoli vediamo solo il fumo (e questa è la fumata di San Pietro), senza mai averne visto e compreso la fiamma.

Velik e canaloni ovvero: la sicurezza sulle strade è commisurata solo alla velocità?

•dicembre 11, 2012 • Lascia un commento

La sicurezza sulle strade: è correlata solo alla velocità?

…strade con buche grosse quanto una fossa da far saltare ciclisti, motociclisti e anche automobili; strade che corrono accanto a fossati dove ogni tanto qualcuno ci resta secco (è cronaca) senza un guard-rail; strade d’inverno sottoposte a tormente di neve dove non v’è alcuna visibilità,  senza neanche un catarifrangente in dotazione; incroci pericolosissimi non regolati; e cosi via.

Allora perchè tanto accanimento sulla “velocità” soltanto? Ci sembra un meccanismo tutto congegnato soltanto per fare cassa, ovvero il problema “sicurezza” si materializza laddove è utilizzabile come sicuro e immediato mezzo per fare cassa; mentre, laddove non è correlato a un ingresso diretto di soldi, il problema “sicurezza” non viene neppure posto.

Moltissime volte vedo auto sfrecciare davanti a me a velocità folle, eppure ci sono limiti di velocità ben chiari….

http://www.repubblica.it/images/2012/12/11/052758305-14fa6c09-c533-4279-a040-fd4815d3f3b8.jpg

Facciamo un piccolo esperimento concettuale (che corrisponde tuttavia a casi reali).

Il meccanismo usuale che il trasgressore di tipo “A” segue è noto: chi conosce una strada perchè la frequenta, magari, ogni giorno, sa bene dove sono posizionati gli autovelox fissi, dunque rallenta solo per evitare gli stessi e per il resto del percorso si scatena a velocità folle, come meglio può.

Chi invece (il trasgressore di tipo “B”) mantiene sempre una velocità più che ragionevole, ma magari tecnicamente un pochino al disopra dei limiti imposti (per esempio: una sessantina di km/h laddove ne sono imposti 50, o un’ottantina dove vige il divieto di 70, all’improvviso incappa (ingenuamente) in una di queste trappole e risulta in contravvenzione!

Domanda: sarebbe più giusta la contravvenzione a un trasgressore di tipo A o a quello di tipo B? La risposta sensata è “A”, quella a norma di legge è “B” (“A” non incappa negli autovelox).

I soliti baciapile diranno: la contravvenzione spetta a entrambi; si, sarebbe cosi, se non fosse per l’altro punto notevole e per me ovvio: che troppo spesso i limiti di velocità indicati (parlo dei 40 km/h, 50 km/h e cosi via) sono talmente bassi da essere, praticamente, insostenibili, oltre che pericolosi, sul tipo di strada dove sono collocati.

Se infatti mettiamo sulla stessa strada un trasgressore di “tipo B” o anche un autista che rispetta rigorosamente i limiti: uno che se ne va su una statale a 45-55 km/h (basta la prima o la seconda marcia); e gli mettiamo alle calcagna un trasgressore di tipo “A”, che appena evitato l’auotovelox noto si appresta al decollo: è facile che il tipo “B” costituisca un improvviso ostacolo allo scatenato tipo “A”, che si appresta a recuperare lo svantaggio dell’aver appena prima rallentato, fino al prossimo autovelox!

Morale della favola: il povero e morigerato cristo paga ogni tanto una multa salata, mette a rischio la vita sua e degli altri guardando (preoccupato di non “sforare”) più al tachimetro che alle reali condizioni e pericoli della strada, i delinquenti continuano a fare quel che vogliono. Tanto, o hanno conoscenze che permettono loro di “farsi togliere la multa” o tanti di quei soldi (provenienti da attività lecite o illecite) che se ne fregano.

E la Giustizia (quella a maglie larghe che cattura i pesci piccoli e lascia indisturbati i grandi) va avanti…

 

p.s. lo scrivente appartiene ovviamente al tipo “B”, guida un’auto a GPL di neanche 1200 cc., dalle note prestazioni velocistiche (da bicicletta), il che però non gli ha evitato a volte di prendere multe per eccessi di velocità dell’ordine di 5 km/h in più, e soprattutto non gli evita di essere sorpassato spessissimo da veri e propri assassini (potenziali) che però agiscono indisturbati.

E’ evidente che coloro che corrono da delinquenti non ignorano la presenza degli autovelox, però che per vari motivi non la temono. E allora?

Ma si, continuiamo a far cassa cosi, andiamo avanti tranquillamente….

 

per approfondimenti:

http://www.repubblica.it/cronaca/2012/12/11/news/velik_fuori_legge-48502259/

 

Le tasse sulle tasse !

•novembre 30, 2012 • Lascia un commento

cos’è l’IMU? una tassa sul reddito eventualmente possibile nell’assurdo caso che…. si decidesse di andare a viver sotto i ponti!

Infatti il calcolo (farcito di aliquote e moltiplicatori) si basa sulla rendita catastale, che altro non è se non il reddito possibile e presunto che si potrebbe ricavare dall’immobile in caso di fitto: per la serie: io vivo nella mia prima (ed unica) casa, e pago una tassa salatissima perchè potrei decidere eventualmente di guadagnare dal fitto della mia prima ed unica casa… andandomene ovviamente, a quel punto, a vivere sotto i ponti!

E’ un assurdo senza pari!

…poi ci sono le tasse sulle tasse (che, a questo punto, risultano persino comprensibili (scherzo!)):

  • RCAuto : “A proposito del possesso dell’auto è da evidenziare come si rappresenti il problema assurdo delle “tasse sulle tasse”; ad esempio ad incrementare il premio RC auto concorre anche il fisco: le tasse ammontano a ben il 18,7 % del premio versato ovvero capaci di incrementare il premio netto di ben il 23 %.” (fonte: vedi in fondo).

– ovvero, si paga il 23% di tasse perchè ci si è dovuti assicurare! (dove sta il reddito?)

  • Energia elettrica: “IVA con aliquota al 10% calcolata su:

– accisa su energia elettrica destinata allo Stato
– addizionale comunale destinata agli Enti locali”

– cioè: uno già paga, oltre l’energia elettrica, l’accisa e l’addizionale comunale, in più paga l’IVA su queste tasse che paga;

  • Gas: “IVA con aliquota al 10% sui primi 480 mq, al 20 % oltre, su:

– accisa erariale sul consumo di gas
– addizionale regionale”

– tradotto: sull’importo che paghiamo per il consumo di gas, paghiamo una accisa e un’addizionale (de che?), e su queste paghiamo l’ Imposta sul Valore Aggiunto (aggiunto per chi, dove?)

  • Carburanti per autotrazione:  “IVA con aliquota al 20 % calcolata su:

– accisa erariale”

-insomma, paghiamo le tasse sulla benzina e la tassa sulle tasse sulla benzina!

  • Tassa rifiuti:  “tributo provinciale con aliquota al 5 % su:

– TARSU
– TIA”

  • Addizionale ex ECA del 10 % su: “

– TARSU”

  • IVA del 10 % su: “

– TIA”

-giustamente, perchè non pagare l’IVA sulla Tariffa per l’Igiene Ambientale?

Mi fermo qua, anche perchè questi sono solo dati riportati, solo un punto di riflessione (e di rabbia/amarezza).

morte-e-tasse

per approfondimenti:

http://www.idealista.it/news/archivio/2012/05/16/049664-pillole-sullimu-come-calcola-limu

http://www.generazioneitalia.it/tasse-su-tasse/

Il denaro: l’oblio di moralità e giustizia nei rapporti di valore

•novembre 29, 2012 • Lascia un commento

L’idea qui è arrivare a capire che cos’è il denaro; per farlo, ripercorrerò brevemente alcune tappe storiche, per tirare le conclusioni in fondo.

# Tappe minimali della Storia della Valuta, per comprendere:

il baratto

le origini del baratto non sono documentabili storicamente; un’economia totalmente fondata sul baratto potrebbe dunque essere un mero modello mentale, ricavato per astrazione, delle economie primitive:

cit.: “Tuttavia, nonostante sia radicata la considerazione del baratto come prima fase storica di economia commerciale, non vi è alcuna prova storica, antropologica o etnologica dell’esistenza di una società, o di un’economia, basate principalmente sul baratto. Al contrario, le società non monetarie operavano largamente secondo il principio dell’economia del dono e del debito. Quando, di fatto, ci si imbatte nel baratto, si tratta, usualmente, di scambi tra soggetti completamente estranei o probabili nemici

La stima del valore nella pratica del baratto, senza ricorrere ad un’unità di misura:

cit.: “Nel baratto, il valore dei beni oggetto dello scambio viene considerato sostanzialmente equivalente fra le parti, senza ricorrere esplicitamente a un’unità di misura di valore monetario dei beni stessi.”

Nel XVI sec. il baratto era basato sui fagioli!:

cit.: “Dopo essere naufragato sulla costa del golfo del Texas nel 1528, Alvar Nuñez Cabeza de Vaca visse per i successivi sette anni presso gruppi di cacciatori-raccoglitori, sia nelle regioni costiere che in quelle interne. Nel corso della sua permanenza presso i gruppi del litorale, egli si dedicò al commercio: sulla costa si approvvigionava di conchiglie marine, di utensili di conchiglia e di una varietà di fagioli dai poteri terapeutici, che trasportava poi nell’entroterra, percorrendo distanze di 60-80 km e oltre, per ottenere in cambio pelli, pietre silicee, ocra rossa (ematite) e pelli di cervo. Da questo eccezionale resoconto etnografico emerge un antico modello di commercio, che implicava relazioni dirette tra un commerciante e numerosi gruppi o bande. Tale scambio “diretto” o “reciproco” aveva probabilmente grande importanza tra i gruppi di cacciatori-raccoglitori, poiché consentiva il trasferimento di merci essenziali, quali materie prime grezze e, in qualche caso, alimenti.” [sottolineato mio]

altri enti di scambio e metalli (conchiglie, orzo, stoffe, sale)

cit.: “La “moneta” in tali sistemi più arcaici veniva usata allo stesso modo del sale o delle conchiglie di Cypraea nelle società premonetali, cioè come mezzo di scambio (…)”

cit.: “Un esempio noto in etnografia è lo scambio kula nelle Isole Trobriand (collane di conchiglie rosse che nell’arcipelago circolavano di isola in isola in senso orario e bracciali di madreperla che circolavano in senso opposto, con lo scopo di intrattenere relazioni sociali), che creava anche l’occasione per un vero e proprio scambio commerciale ( gimwali) basato sul baratto (Malinowsky 1978)” [sottolineato mio]

cit.:”Nella prima metà del II millennio a.C. in genere i pagamenti si effettuavano in quantità misurate di orzo nella Babilonia; in Siria invece si preferiva utilizzare l’argento pesato, poi il rame e infine argento e stagno. Successivamente, gli Assiri scambiarono stagno e stoffe contro l’oro e l’argento proveniente dall’Anatolia.” [sottolineato mio]

In Africa (dall’VIII al XVI sec. d.c.) ancora troviamo il campionario di scambio più ricco:

cit.: “sale (…) montoni (…) noci di cola (…) barre di rame (…) conchiglie cauri (…) oggetti di ferro (frecce, zagaglie, arponi, asce e daghe) e avorio (braccialetti) (…) schiavi (…) zanne di elefante (…) stagno (…) perle di vetro e di cornalina (…) braccialetti (…) perizomi di colore rosso e cavalli (…)”

; mi fermo qui perchè l’elenco va avanti ancora a lungo.

In Oceania

cit.:”Ocra, boomerang, ornamenti di conchiglia, accette, macine e droghe
vegetali (pituri) costituivano oggetto di scambio durante i raduni intertribali o attraverso una catena di contatti lungo itinerari stabiliti dalla tradizione.”

il baratto mediato

La mediazione nasce come “terza merce”, individuata presto nei metalli:

cit.: “Nel tempo dal baratto diretto si passò al baratto mediato attraverso l’uso di una terza merce di carattere guarentigo la quale potesse fungere da “valore-ponte”. Questo consentiva non solo di poter ampliare la possibilità di scambio oltre la contemporaneità di reperimento ma anche di effettuare scambi indiretti. Questa “merce terza” fu nel mondo occidentale ben presto individuata in lavorazioni ben definite di alcuni metalli (…)”

– a cavallo tra baratto e valutazione aurea

cit.: “un esempio interessante di epoca storica ci viene descritto da Erodoto sui Fenici (Cartaginesi) (ma era già baratto tra merci e moneta-oro), secondo una modalità interessante (vedi link di approfondimento): se il quantitativo di oro deposto soddisfaceva la valutazione (del rapporto merci-oro) che ne davano al momento i Cartaginesi, lo scambio veniva accettato, altrimenti no.”

individuazione del metallo quale ente, tra concreto e astratto, nel quale individuare il valore (4000 a.C.)

Si credé di rinvenire il valore (dei rapporti di scambio) dunque nel metallo (oro e argento in primis) , gestito dal potere religioso, mentre per il popolo esisteva ancora una moneta meno pregiata, nonchè non sotto il diretto controllo delle caste sacerdotali.  Un po’ come Cartesio credè di individuare la connessione tra anima e corpo, tra res cogitans e res extensa, nella ghiandola pituitaria (=giusto un travisamento del corretto modo di inquadrare la questione).

Interpretazione seconda: si stabilì una volta per tutte di individuare il valore dei rapporti di scambio nei metalli, un po’ come quando si stabilisce di individuare il valore della “Patria” nel culto della bandiera fisica.

Insomma gli uomini hanno stabilito, ad un certo punto della loro storia (per convenzione o per travisamento – magari successivo – della questione),  che il metallo costituiva l’Esserci del valore (il “valore in sè, assoluto”) di tutti i loro possibili rapporti di scambio, di tutti gli enti possibili (astratti e concreti) mercificati, dal valore di uno schiavo a quello di un raccolto ai servizi derivanti dalla prostituzione, etc.

cit.: “Furono i Sumèri – gli abitanti della Mesopotamia che nei tempi più remoti (4000 circa a.C.) avevano inventato la scrittura – che con i loro sacerdoti stabilirono di scegliere il metallo come la merce più adatta allo scopo in quanto, tra molti pregi, aveva anche quello particolare del peso costante. I metalli prescelti furono l’oro, sacro al dio solare, e l’argento, consacrato alla pallida luna; il rapporto tra i due metalli fu stabilito da uno a tredici e un terzo, corrispondente, sembra, al rapporto astronomico tra l’anno solare ed i mesi lunari.”

A parte la credenza religiosa invocata come garante (ancora oggi alcuni invocano la credenza religiosa come garante della moralità) interessantissimo che la valutazione del rapporto tra valore dell’oro e dell’argento venne fatta sulla base di rapporti astronomici – dunque non sulla base della rarità dei materiali in gioco, ad esempio, ma passando da un’associazione di tipo religioso ad una astronomico e di qui di nuovo ad una valutazione dei rapporti in gioco sulla terra. Tipico della mentalità antica, ovviamente: i rapporti in terra riflettevano quelli sussistenti in cielo. Ovvero, non si tentava di ricavare i rapporti in terra a partire dagli stessi rapporti in terra, ma a partire da qualcos’altro, dalla sfera trascendente, per ritornare coi piedi per terra. Al di là dell’interesse antropologico, tutto ciò denuncia una chiara origine della pura convenzionalità della stima dei rapporti di valore.

nascita della moneta: la Premoneta (civiltà egizia, 3000-2000 a.C.)

cit.: “Col tempo si cominciarono a barattare i prodotti con oggetti informi chiamati dagli studiosi “Premonete”. Erano pezzi di metallo a foggia di anelli, rozzi pani di bronzo, bastoni a punta  (osservandoli nei musei si pensa a ferri da girarrosto).
Essi potevano essere di rame, detti “oboli” o lastre di bronzo con peso da 24 a 30 chili a forma di pelle di bue.

Nelle premonete possiamo mettere anche alcune particolari varietà di conchiglie che le popolazioni oceaniche usavano nei loro commerci.”

cit.: “Non possiamo ancora affermare che la moneta sia nata, i metalli preziosi restavano custoditi nei templi, i sacerdoti regolamentavano le operazioni più importanti, i piccoli contadini o artigiani non potevano vedere il valore del loro lavoro. L’antica civiltà egizia 3000 / 2000 a.C. che ha costruito grandi piramidi e città non ha sentito la necessità della moneta in virtù del sistema sociale vigente di tipo comunistico.”

Interessante notare come i due livelli di commercio (ovvero di potere) nacquero già suddivisi: Premonete, ovvero oggetti di un certo valore ma di reperibilità piuttosto comune, per il Popolo; metalli preziosi per il tramite tra Regime Oligarchico e il Popolo. Si deve già insomma cominciare a parlare di un doppio livello di economia (che sussiste ancor oggi, ovviamente, coi templi trasformati in Banche e Borse e l’economia della gente normale, ovvero dei semplici lavoratori, che ricevono l’obolo alla fine del loro sforzo produttivo; purtroppo la storia della civiltà è sempre andata avanti, mutatis mutandis,  allo stesso modo).

cit.: “Oggetti di lusso, impiegati in un “commercio nobile” (doni nuziali, ospitali o votivi, pegno per riscatto, premi di gara, ecc.) compaiono più volte nell’Iliade e nell’Odissea come “valori circolanti”, in contrasto con il bue che viene utilizzato come misura del valore. Fra questi agalmata (o più precisamente fra i keimelia, cioè le cose preziose custodite nella stanza del tesoro dell’oikos) il cui valore è ancora concreto, si distinguono alcuni oggetti (tripodi, bipenni, lebeti) che passano ad essere considerati misura del valore astratta: “segni premonetari” da mettere direttamente in relazione con l’inizio della monetazione (…)”.

Gli spiedini di carne (buoni!) costituiscono una tappa miliare nello sviluppo dell’economia:

cit.: “Il passaggio può essere invece più precisamente seguito per lo spiedo (obelòs) e il fascio di spiedi (drachmè) che passano in epoca successiva ad indicare unità di misura (obolòs e drachmè). Lo spiedo non è propriamente un agalma o un keimelion, ma è uno strumento del sacrificio, precisamente l’oggetto nel quale veniva infilata la carne da cuocere dell’animale sacrificato. Obelòs può anche indicare le porzioni di carne infilate in uno spiedo (…), porzioni che erano distribuite a tutti i cittadini. Il passaggio da una distribuzione qualitativa della carne, tipica della società aristocratica dell’età arcaica, ad una distribuzione quantitativa tipica invece della polis classica democratica, deve aver segnato anche il passaggio da una nozione concreta ad una nozione astratta del valore (…)”.

Salterò a questo punto le tappe su:

la moneta e le sue funzioni

nascita della moneta in oro

il valore della moneta diventa nominale (dall’oro a metalli meno nobili)

la cartamoneta è garantita dalle riserve auree

le riserve auree vengono dichiarate inutili

il denaro si fa credito elettronico: introduzione della complessità computazionale nel credito

, perché ne ho abbastanza. Il processo che arriva al credito numerico, elettronico (inserimento di numeri in banche dati), è chiaro.

Il processo è di progressiva (seppur lenta) astrazione dall’ente concreto (oro o altro elemento prezioso=raro (e esteticamente valido)) , per arrivare alla totale virtualizzazione del credito o potere di acquisto. Il potere di acquisto è esercitabile su tutto ciò che è posto in vendita, ovvero ritenuto oggetto di mercato dal venditore, secondo la valutazione corrente che ne viene data, dal venditore stesso o dal “sistema”. Ma è notevole che ancor oggi, nella prassi quotidiana, si faccia finta spesso di non comprendere (o in taluni casi davvero non si comprende) che il potere di acquisto è l’unico significato del denaro: il numero misurante l’importo, assoluto, non significa nulla, il vero significato del denaro è nella relazione tra il numero-credito e ciò che mi viene dato in cambio. Nel termine cambio si ritrova intatta la relazione instaurata sin dall’inizio nel baratto.

# Il fondamento dell’esistenza e del senso del denaro si trova nella specializzazione del lavoro. Se ognuno fosse autosufficiente e provvedesse per intero al proprio auto-sostentamento (come propugnava Michelstaedter),  non ci sarebbe bisogno di un mezzo di scambio. Viceversa, la specializzazione del lavoro (che è necessaria per l’innalzamento della qualità dello stesso) implica la necessità di un metodo per lo scambio dei risultati dei rispettivi lavori. Di qui, il baratto (per lo scambio di risultati del lavoro semplici e oggettivi) o il mercato (per lo scambio di risultati del lavoro complessi e astratti).

# L’altro fondamento del denaro (il necessario sfondo sul quale la necessità dell’esistenza del denaro s’innesta)  è il possesso o proprietà privata. Il denaro non è altro che potenza (di acquisizione) rispetto a questo.

# Distorsioni introdotte dall’economia (basata sullo scambio) e dal denaro:

  • Pura arbitrarietà della valutazione dei rapporti di valore:
cit.: “….. nella Grecia arcaica 600 a.C. il valore di:
– Uno schiavo era fissato in 100 capi di buoi
– Una donna variava da quattro a venti buoi (in funzione alle sue personali caratteristiche)
– Una buona armatura valeva venti buoi”
 
cit.: “Nella civiltà precolombiana dei Maya, i semi di cacao svolgevano la funzione di moneta, era il vero “oro” di quel popolo.
Un coniglio valeva 10 semi di cacao, una zucca 4, uno schiavo 100, le  prostitute si concedevano per 8 – 10 semi di cacao.
 

Spunti molto interessanti per comprendere che la pura arbitrarietà sussista tutt’oggi, e sia lo strumento principale di potere della classi dominanti: vedi la valutazione del salario di lavoro (quanto vale lo specifico lavoro di ogni singola persona? – oggi si soffre di un totale appiattimento degli stipendi dei singoli lavoratori nei vari settori, a mio avviso l’arbitrarietà delle valutazioni offerte è, troppe volte, evidente). Oggi si dice: è il mercato del lavoro che valuta; e ieri cos’era, il mercato degli schiavi? cos’è cambiato? poco o nulla!

  • Il baratto è fondato sulla misurazione (valutativa) del valore di una merce o bene o servizio. Notare che spesso le grandezze barattate sono incommensurabili, mentre il baratto prima, e il denaro poi, le forzano su un piano di commensurabilità. Tale distorsione non è introdotta dal denaro ma ha origine nel baratto, ed è alla base di tutta l’economia basata sullo scambio. Il peccato è originale! sull’incommensurabilità, vedi anche alla voce:  “Pura arbitrarietà della valutazione dei rapporti di valore“: come commensurare il valore di un uomo o di una donna (schiavi) a quello dei buoi?
  • nascondimento (almeno parziale) dei rapporti di valore (tra le cose), lasciando nell’insindacabilità le potenzialità del suo possessore: la misura nominale rappresentata dal denaro non costituisce immediatamente rapporti di valore ma anzi sospende, in quanto misura assoluta, ogni rapporto . Per analogia: sapere: “che ora è” è del tutto slegato dal fatto che arriverò in ritardo o in anticipo ai molti appuntamenti della mia agenda (almeno fino a quando non mi recherò agli appuntamenti stessi);
  • il denaro rappresenta valore (ricchezza) in forma compatta, permettendo cosi l’accumulo di ricchezza (beni potenziali) che non sarebbe possibile senza il processo di compattazione: se traducessimo in capre le ricchezze di Berlusconi, non basterebbe l’intero territorio italiano per contenerle (un calcolo che sarebbe interessante fare);
  • effetto soglia: il denaro permette l’accumulo e la moltiplicazione di denaro stesso; ha permesso in altri termini di ottenere le stesse condizioni di vassallaggio che un tempo erano ottenute con rapporti di potere e di forza, ricorrendo al semplice uso dell’attuale meccanismo economico: chi ha denaro sopra una certa soglia può facilmente riuscire a moltiplicare e moltiplicarne l’accumulo; chi ne ha al disotto di una certa soglia può solo sostentarsi e sopravvivere (quando ci riesce).
  • la possibilità di mettere in atto il nascondimento di frodi nella complessità dei  parametri e sofismi di calcolo applicati (vedi le tasse pagate sulle tasse, le accise, l’illecito recupero delle proprie tasse dalle tasche dei consumatori perpetrate, ad es., nelle bollette del gas)
  • Conclusioni sull’elenco delle distorsioni introdotte dal denaro: se i rapporti di valore sono basati su un esercizio di riduzione al commensurabile del di-per-sè incommensurabile e sulla pura arbitrarietà delle valutazioni, chi o cosa decide? cui prodest? in base a quali regole o ratio?

Ecco che il denaro diventa (non sempre e per tutti, forse, per fortuna) il valore assoluto, il Dio, la cima della montagna alla quale si guarda perdendo completamente di vista i rapporti di valore tra le cose (e rispetto alle vite proprie e altrui); per altri l’inevitabile mezzo di scambio le cui redini sono tenute dall’alto, marionette a volte consapevoli di giochi sempre più alti, indiretti, fili legati ad altri fili che tirano fili alla fine dei quali ci siamo noi con i nostri affanni quotidiani…

# riassumendo: la verità è sotto gli occhi di tutti, ci vuole coraggio però per guardarla in faccia, metterne le proposizioni enunciative in fila, attribuendo i giusti termini alle cose. Fatto questo, resterebbe l’azione, ma a quel punto tutti “se ne tornano a giuocare”.

#conclusioni: il denaro è la fissazione di arbitrari rapporti di valore tra le cose e il lavoro. Dal bilanciamento arbitrario dei rapporti di valore nasce il valore “in sè” che esso rappresenta (ma è sempre, originariamente, valore “per altro”, riconducibile a rapporti di valore tra le cose, il lavoro, o altre fonti (malvage e illecite) di provenienza). Il denaro è l’oblio della provenienza del valore che esso rappresenta, e dunque dei rapporti morali: violenze, ingiustizie, prepotenze vengono celate sotto la forma dell’asettico numero. Tranne per pochissime eccezioni (“denaro proveniente da traffici illeciti”), di fronte al denaro nessuno è tenuto a chiedersi donde provenga, e come provenga, ma solo che “c’è”. Sommo lavaggio dei panni sporchi, ogni volta.

Il denaro è il valore e, al contempo, l’insieme dei rapporti di valore che questo valore rappresenta, e ancora l’oblio di tali rapporti e della moralità e giustizia degli stessi.

Con l’oblio dei rapporti di valore e della loro moralità e giustizia, la Grande Opera di astrazione è compiuta, il via libera alla prepotenza e ingiustizia derivanti dalle convenzioni stabilite intorno al denaro è compiuta.

≈-≈-≈

per approfondimenti: – sul baratto, economia del dono, sistemi premonetali: http://it.wikipedia.org/wiki/Economia_del_dono – sul baratto mediato: http://www.compensazione.it/public/affari_compensazione/storia_compensazione.asp http://www.treccani.it/enciclopedia/le-forme-dello-scambio-e-i-sistemi-premonetali-e-monetali_%28Il-Mondo-dell%27Archeologia%29/ – su monete e denaro: Sulla storia della moneta: http://manuali.lamoneta.it/MANUALI.html “Associazione Collezionisti Numismatici Milanesi”: http://acnm.xoom.it/acnm/losapete.html “Storia della numismatica”: http://www.gigante.it/progetto/monete_storia.html http://acnm.xoom.it/acnm/storianum/origmon.html – sulle relazioni tra metalli e pianeti: http://www.massimomarra.net/847/Marcelin-Berthelot-Relazioni-tra-i-metalli-ed-i-pianeti-il-numero-sette-estratto-da-Collection-des-anciens-alchimistes-grecs-vol-I-pp-7385-Traduzione-di-Massimo-Marra – teorie del denaro: http://www.sinistracomunistainternazionale.it/Riviste%20e%20documenti%20PDF/TEORMARX.pdf “E’ tempo di una nuova teoria del denaro” – http://www.stampalibera.com/?p=17684 Michelstaedter, “La Persuasione e la Rettorica” http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Michelstaedter http://www.michelstaedter.it/

La nebbia agli irti colli….

•novembre 26, 2012 • Lascia un commento

Scopro la nebbia qui nella piana del Fucino, ieri la definimmo:  il fantasma del lago (che non c’è più). Violenza sulla natura,  strano destino: un lago che c’era (del Fucino) non c’è più, uno che non c’era (di Campotosto) a poca distanza dev’esserci. Perché non lasciare le cose come stanno? Ma il lago qui ancora vuol esserci, da lontano avrei detto che fosse mare.

Per lo più la nebbia viene vista come una cosa fastidiosa (certo, se devi alzarti e andare al lavoro attraversandone 40 km. lo è),  ma da lontano, tornando da una serena gita domenicale, è un incanto. E allora cos’è la nebbia?

La nebbia di Pascoli:

Nascondi le cose lontane, 
tu nebbia impalpabile e scialba, 
(…)
Nascondi le cose lontane, 
nascondimi quello ch’è morto! 
Ch’io veda soltanto la siepe 
dell’orto, 
la mura ch’ha piene le crepe 
di valeriane. 
Nascondi le cose lontane: 
le cose son ebbre di pianto!

(…)”

(ref.: http://www.fondazionepascoli.it/Poesie/06nebbia.htm)

La nebbia di Carducci:

La nebbia agli irti colli

Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
urla e biancheggia il mare;
Ma per le vie del borgo
Dal ribollir dè tini
Va l’aspro odor de i vini
L’anime a rallegrar.

(…)”

(ref.: http://it.wikipedia.org/wiki/San_Martino_(poesia))

La nebbia di Hermann Hesse:

Strano, vagare nella nebbia!
È solo ogni cespuglio ed ogni pietra,
né gli alberi si scorgono tra loro,
ognuno è solo.

(…)”

(ref.: http://cantosirene.blogspot.it/2010/12/vagare-nella-nebbia.html)

La nebbia di Heidegger:

da “Che cos’è la metafisica?”: “La noia profonda, che come una nebbia silenziosa va di qua e di là negli abissi dell’«esserci», spinge assieme tutte le cose e gli uomini e sé stessi con loro in una strana indifferenza. Questa noia rivela l’esistente nella sua interezza.

(ref.: “http://mondodomani.org/pers/salmeri/intro/heidegger.htm”)

una nota positiva la si legge nella poesia qui, nella poesia di M.L.Magni:

La nebbia che viene,
che passa, che va, 
un magico dono, 
un incanto ti dà. 
I palazzi son navi 
in un mar di bambagia.

I fiumi, i ruscelli,
sui quali si adagia,
sentieri lucenti
di un mondo fatato.
Le strade e i fanali,
un giardino incantato.

(…)”

(ref.: http://www.poesie.reportonline.it/poesie-autunno/sito-di-poesie-la-nebbia-che-viene.html)

In comune ai vari pensieri, la nebbia che nasconde, che isola ma anche che accomuna; segno della noia dell’intera esistenza, persino: niente di positivo, nel complesso. Ma in una poesiola semplice una nota di luce: l’incanto che la nebbia dona.

Nella civiltà occidentale il sole è sinonimo di immagine dell’intelletto, della verità, la nebbia è la metafora per eccellenza della mancanza di conoscenza, del vago e indistinto; come si fa a sfuggire a questa rappresentazione metaforica ormai cosi radicata? Vedere un paesaggio in pieno sole (stile cartolina) è vederlo “com’è”, se lo rappresenti nella nebbia è ancora qualcosa da “scoprire, da dis-velare”. E’ il trionfo del concetto di Verità come aletheia ripreso, e ben evidenziato, da Heidegger. Dunque la nebbia resta qualcosa da togliere per dis-velare ciò che E’, il Vero, e sin quando vedi un paesaggio nella nebbia vedi soltanto qualcosa di parziale, il resto dev’essere ancora rivelato.

Invece, abbiamo del tutto perso quell’altra possibilità di pensiero, per la quale la nebbia è soltanto uno degli stati possibili del Mondo e del Vero, non meno desiderabile-significativo-vero-definitivo del paesaggio pienamente esposto alla luce del sole di mezzogiorno. Perché è vero che la nebbia nasconde alcune cose, ma ne rivela altre: la trama dei rami dell’albero altrimenti confusa dalla fantasmagoria dei colori dello sfondo, viene rivelata dalla nebbia;  sagome in lontananza evocano. La nebbia evoca suggestioni e riconfigura paesaggi; ciò che appare al sole è diverso, altro, da ciò che appare nella nebbia, ma quest’altra configurazione che appare nella nebbia non è apparenza men reale. Ciò che è stato perso sulla strada del disvelamento totale sono la suggestione, l’evocazione, l’incanto.

Tuttavia, continueremo a pensarla cosi, perché  per dirla con Michelstaedter, “gli uomini sono ormai cosi’ ben avviati” che difficilmente potranno tornare indietro dalle strade di pensiero percorse…

 

P.S.: la nebbia di Michelstaedter, vista (secondo lo standard) come méra accidentalità negativa: «Il coraggio dell’impossibile è la luce che rompe la nebbia, davanti a cui cadono i terrori e il presente divien vita».

 

 

La Velocità è una grandezza relativa o Pioggia a Napoli

•novembre 14, 2012 • Lascia un commento

Sei in missione per Roma, disti 80 km circa dalla città. Tre quarti d’ora per raggiungerla, velocità media: 106 Km/h. Devi percorrere gli ultimi 3 Km sulla Tiburtina, ma prima in un senso per 1 km (per avere la possibilità di invertire la marcia) poi altri 2 km. nell’altro senso: tot 3 km; tempo impiegato: altri tre quarti d’ora, velocità media in città: 4 km/h; 1,5 ore in tutto.

Se la velocità urbana fosse stata pari alla velocità extraurbana, il tempo necessario per coprire gli ultimi 3 km sarebbe stato di 1 min. e 42 sec. Altri 43 minuti di vita regalati all’Urbe (se è vita ascoltare notizie di disastrosa politica chiusi tra le lamiere dell’auto, intrappolata da altre auto).

OPPURE

 

Piove!

Pioggia a Napoli, giornata di ordinaria amministrazione.

Tre quarti d’ora per coprire la distanza dall’uscita della Tangenziale Corso Malta al tuo posto di lavoro (un paio di km.).

Poco prima del ponte già sbarrato a metà per fatiscenza struttura da non si sa quando, la strada allagata a metà ruota.

Spazzatura sparsa galleggiante.

Finalmente arrivi,  ma non vedi l’ora di andar via!